lunedì 25 ottobre 2010

Fare attenzione non alla malattia.Considerazioni sulle dichiarazioni del Presidente della Provincia di Udine

Questa lettera è stata pubblicata nella rubrica "per posta e per E mail" del Messaggero Veneto il 1 novembre 2010.

Leggere sul Messaggero Veneto del 23 ottobre “Fontanini: classi separate per i disabili”, mi ha lasciato senza parole. L’unico aspetto positivo di quelle dichiarazioni, come ha rilevato il governatore Tondo, è di aver sollevato con prepotenza un problema reale. Quest’episodio mi ha stimolato alcune riflessioni, memore anche delle passate e presenti battaglie che io e mia moglie ci vediamo costretti a combattere da sempre per far rispettare i diritti di nostro figlio, giovane uomo con disabilità. Spesso i politici, gli amministratori, ma anche diversi “addetti ai lavori”, non centrano l’attenzione sulla Persona, anzi tendono ad identificarla con la sua malattia, problema o anomalia genetica. Credo proprio che i punti nodali della questione siano il rispetto per la persona e la sua dignità e la tutela dei diritti. E’ opportuno sostenere un cambiamento culturale indirizzato, appunto, verso la tutela dei diritti e la promozione della qualità della vita e non in senso risarcitorio, ormai superato, in teoria, anche dalle leggi vigenti, dalla Convenzione Onu sui Diritti delle Persone con Disabilità, ecc., che mirano all’inclusione sociale scolastica e lavorativa delle persone con disabilità, e di certo non alla loro ghettizzazione come proposto dal Presidente della Provincia di Udine. Per ritornare al tema della scuola, vorrei soffermarmi sull’argomento “insegnante di sostegno”. Certo è quanto mai opportuno che sia specializzato, ma io credo che non sia sufficiente. Mi spiego meglio utilizzando uno slogan dell’Anffas di cui sono socio. Per svolgere bene il suo compito un insegnante, e non mi riferisco solo a quelli di sostegno, deve saper integrare “il cuore e la ragione”: la ragione è rappresentata dalla competenza tecnica, il cuore dalla motivazione, dalla sensibilità, dalla capacità relazionale, dalla disponibilità all’ascolto e dalla creatività. Non dimentichiamo che, contrariamente a quanto spesso avviene, il ruolo dell’insegnante di sostegno non è quello di prendersi l’alunno con disabilità e lavorare con lui fuori dall’aula, ma piuttosto quello di mediatore e di appoggio per l’intera classe, magari operando in piccoli gruppi. Daniela Beltrame, dirigente dell’Ufficio Scolastico Regionale, ha detto che in Friuli Venezia Giulia, gli insegnanti di sostegno nell’anno in corso, sono stati incrementati di 18 unità, e che è necessario costruire una rete tra tutti gli attori che orbitano attorno allo/a studente con disabilità (servizio sanitario, scuola, enti locali, famiglie, ecc) per armonizzare le competenze e trovare le risposte concrete ai bisogni individuali. Di contro però, con la riforma Gelmini, sono diminuiti gli insegnanti curricolari e il personale Ata, e sono aumentati gli alunni per classe, parallelamente alle difficoltà di apprendimento e sociali e alle diversità culturali. Tutto ciò rende molto più complesso il lavoro formativo ed educativo che nella scuola, per definizione, si dovrebbe svolgere. I primi a soffrire di questa situazione sono gli allievi con disabilità, ma ne risentono tutti i bambini e ragazzi che si vedono sfumare tra i banchi il sacrosanto diritto all’istruzione e ad usufruire dell’opportunità, assai formativa se ben accompagnata, di confrontarsi con coetanei con disabilità e varie diversità. E’ ormai universalmente riconosciuto che la disabilità si esprime in maniera diversa in base alle interazioni che la persona disabile ha con gli altri e l’ambiente in cui vive. Il che si traduce in: più elementi sfavorevoli, maggiore gravità nell’espressione della disabilità. E’ responsabilità di ognuno ridurre i fattori disabilitanti nei contesti di vita e non c’è dubbio che l’isolamento sia uno di questi. Il prof. Fontanini, prima come insegnante poi come Presidente della Provincia, dovrebbe più di altri conoscere e praticare questi concetti basilari del vivere civile. Dobbiamo essere orgogliosi di far parte di uno stato che ha abolito le classi speciali dal 1977, anche se a Udine sono sopravvissute nella pratica fino ai primi anni del 2000. Su questo baluardo, faticosamente conquistato, che ci colloca tra i paesi civili culturalmente progrediti, tornare indietro sarebbe intollerabile.

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giovedì 7 ottobre 2010

Barconi. Dai giochi alla realtà.

Questa lettera è stata pubblicata nella rubrica per Posta e per E-Mail del Messaggero Veneto il 15 ottobre 2010.

La connettività di internet rappresenta un’eccezionale opportunità per ampliare i contatti, le conoscenze e gli scambi a distanza tra le persone ma, a fronte di tali vantaggi, ci abitua ad una realtà virtuale che può riservare brutte sorprese. Più volte abbiamo amaramente constatato come la realtà quotidiana non sia ciò che il web ci rappresenta. Ciò nonostante non avrei mai pensato che da un gioco virtuale, che circolava sul sito della Lega in cui i giocatori guadagnavano punti a seconda di quanti barconi d’immigrati riuscivano ad affondare, si potesse arrivare alla cruda realtà del mitragliamento, da parte dei libici, di un peschereccio italiano che si trovava in acque internazionali. Dopo un iniziale assordante silenzio istituzionale su quell’aggressione, sono comparse le allucinanti dichiarazioni di alcuni esponenti del governo. Secondo quanto si è appreso dai pochi media che hanno riportato la notizia, Il ministro Maroni avrebbe detto: “Immagino che abbiano scambiato il peschereccio per una nave con clandestini”. Ha dell’incredibile che un ministro del governo faccia simili affermazioni. Non si tratta di uccelli migratori con i quali fare il tiro al bersaglio, come ha esternato l’on. Di Pietro. Chiara e decisa la denuncia del vescovo di Mazara del Vallo, mons. Domenico Mogavero: “Assistiamo a una vera e propria inerzia del governo. Noi siamo preoccupati per la facilità con cui si mette mano alle armi e si attenta alla vita delle persone”. E’ acclarato che i libici non brillano quanto a rispetto dei diritti umani e lo hanno dimostrato in più occasioni, però anche il nostro governo non fa una bella figura a firmare l’accordo sul respingimento dei migranti. Nel 2007 il ministro degli interni Giuliano Amato ha fornito ai libici sei motovedette, come quella da cui si è aperto il fuoco contro il peschereccio, sulle quali si trovano tuttora militari italiani in veste d’istruttori, allo scopo di effettuare il pattugliamento marittimo, la ricerca e anche il salvataggio dei migranti. Nel 2009 il ministro Maroni ha regalato definitivamente le imbarcazioni ai libici. Tutto questo accadeva a pochi giorni di distanza dallo show circense in occasione dell’arrivo a Roma del colonnello Gheddafi con al seguito cavalli berberi, amazzoni e altre amenità. Il nostro presidente del consiglio, pur di concludere accordi economici, si è prestato a supportare queste buffonate dimostrando anche una certa sudditanza nei confronti di quel folcloristico ràs che non avrebbe trovato una simile accoglienza in nessun altro paese democratico. Non dimentichiamo che alcuni anni or sono dalla Libia erano partiti due missili diretti a Lampedusa e che sono frequenti i sequestri di nostri pescherecci in acque internazionali. Il colonnello Gheddafi ha, unilateralmente allargato il limite di sette miglia per le acque territoriali a tutto il Golfo della Sirte, infischiandosene delle convenzioni internazionali. Da Gheddafi, che ha un potere assoluto nel suo paese, ci si può aspettare di tutto ma dal governo di un paese democratico ci si aspetterebbe chiarezza negli accordi internazionali e garanzie di non aggressione per chiunque. Purtroppo ci si rende conto che il primum movens di ogni azione è il diosoldo, in nome del quale chi ci governa pensa di poter calpestare tutto solo perché dalla Libia arrivano in Italia commesse per alcune industrie, ingenti capitali investiti in colossi bancari, in squadre sportive, ecc. Nel 1912 erano gli italiani a sbarcare militarmente sul territorio libico per conquistarlo, ora, quasi come una nemesi storica, sono loro a insinuarsi coi petroldollari nel nostro sistema economico-produttivo. Siamo a questo punto perché i politici italiani non si sono dimostrati lungimiranti nell’approntare un piano di ricerca e d’investimenti sulle energie alternative, perpetuando la sudditanza verso i paesi produttori di petrolio. C’è da augurarsi che, in un insperato rigurgito d’orgoglio nazionale, emerga, tra chi ci rappresenta, qualcuno che trovi la spinta per dire basta a tutte queste sottomissioni e pagliacciate!

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sabato 21 agosto 2010

La rupe Tarpea del Welfare

Questa lettera sul tema delle pensioni ai falsi invalidi, ma soprattutto a quelli veri, è stata pubblicata nella rubrica "Per posta e per E-mail" del Messaggero Veneto in data 01/09/2010.

Recentemente abbiamo letto e ascoltato innumerevoli proclami di esponenti del governo sul problema dei falsi invalidi. E’ una campagna sacrosanta che smuove l’indignazione della coscienza collettiva verso chi si approfitta delle disgrazie altrui che va perseguito in tutti i modi possibili e immaginabili, come pure chi gli ha concesso quell’inappropriato e usurpato beneficio. Secondo me però si tratta di un paravento che nasconde una volontà ben peggiore di quella che cercano di evidenziare con tanta enfasi. E’ inaccettabile ascoltare le parole che il ministro Tremonti ha pronunciato verso la fine di maggio …due milioni e settecentomila invalidi pone la questione se un paese così può essere ancora competitivo. Il senso del discorso è molto chiaro e non si presta a molte interpretazioni: gli invalidi per il nostro governo sono un peso. I nostri governanti si mostrano attenti a predisporre scudi fiscali e condoni, che in sostanza aiutano a vivere alla grande chi ha frodato lo stato accumulando capitali ed esportandoli all’estero, a proteggere chi ha costruito abusivamente imperi economici e a salvaguardare gli interessi di cricche di amici. Meno si occupano di chi sopravvive con pensioni spesso da fame e in particolare con quelle d’invalidità che ammontano a ben 267 euro, per 13 mensilità. Manca veramente poco alla caduta nel baratro di questa novella rupe Tarpea del Welfare. A sentire il ministro dell’economia le spese per questo settore sono altissime e rappresentano un ostacolo al progresso economico. Di contro, su alcuni giornali indipendenti, si legge che l’Italia in questo ambito spende l’1,5% del PIL, quando la media europea è sul 2%, ponendoci agli ultimi posti. Altro che anomalia, questa è falsa informazione! I nostri governanti dovrebbero smetterla di sbandierare priorità come le leggi ad personam e incominciare ad occuparsi della tutela dei diritti fondamentali per tutti e della possibilità di consentire una vita decente, specie a chi è più in difficoltà. La qualità di vita dei veri invalidi è legata alle possibilità economiche della famiglia che per contro finisce per impoverirsi sempre più. Ma non è solo il problema delle pensioni a destare preoccupazione, sono le linee politiche di raschiatura del fondo con la proposta di innalzare i limiti per l’invalidità dal 74 all’85%, la non cumulabilità delle percentuali per più di una patologia invalidante, il calo degli stanziamenti per le politiche sociali, ecc.. E’ la politica del lanciare proposte più o meno assurde e vedere come reagisce l’opinione pubblica, poi ci pensano i mezzi d’informazione, più o meno legati al padrone, ad enfatizzare, ridimensionare o manipolare la notizia. Ai nostri ministri, poi, basta poco a ritirare proposte che si sono rivelate inopportune, se non indecenti, motivando quell’inversione di marcia con qualche fregnaccia. E’ un comportamento vergognoso: prima s’insinua il dubbio che non è facile rimuovere, poi non ci si cura delle persone e delle famiglie. Ricordiamoci che basta un niente per passare dallo stato di piena salute ad uno di dipendenza più o meno totale. A proposito di pensioni d’anzianità, visto che faccio parte della categoria dei pensionati, vorrei sottolineare, contrariamente a quanto si è sentito dire da certi politici della disinformazione che acclamano a piena voce, che il pensionato non pesa sulla società perché i contributi per la sua pensione sono stati versati anticipatamente, e quindi accantonati, in parte dal datore di lavoro e in parte trattenuti dalla busta paga del lavoratore stesso. D’accordo che si è elevata l’età media però forse non c’è stata una buona gestione di queste somme. Nella maggioranza dei casi l’effetto finale non è quello che si aspetta chi ha lavorato una vita, e cioè avere una pensione che gli assicuri una vecchiaia tranquilla. La pensione si svaluta sempre più, per cui proprio nel momento in cui il pensionato può avere maggiori necessità si trova ad avere minori disponibilità. Non desta meraviglia che i politici non rientrino in questa categoria e che molti di loro siano più impegnati ad attaccare le cariche istituzionali e la Costituzione che a occuparsi di chi si trova in difficoltà.

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mercoledì 26 maggio 2010

Decisioni e priorità

Questa lettera col titolo "Decisioni e priorità" è stata pubblicata sulla rubrica "per posta e per E-mail" del Messaggero Veneto il 4 giugno 2010.

Ultimamente vivere in Italia è come stare su un ring. La poca stampa ancora libera riesce a divulgare notizie che sono veri e propri pugni nello stomaco. Emergono ogni giorno scandali e malaffare con interessi privati di politici e amministratori in appalti pubblici. C’è addirittura chi non si accorge che gli hanno comprato un appartamento con vista sul colosseo! Non si tratta di isolate mele marce, come qualcuno ci vuol far credere, e ha ragione a dire che non siamo di fronte ad una nuova tangentopoli. Attualmente è peggio: nell’inchiesta mani pulite vennero inquisiti 270 parlamentari che prendevano soldi per il partito, ora li rubano per sè, e questo verbo mi pare più appropriato. Siamo avvolti da un malcostume generale che si è insinuato così bene in tutte le compagini politico-amministrative da trovare seguaci in ogni gradino della scala politica. Gli appalti se li aggiudicano sempre le stesse ditte. Ma che caso! In questi giorni io, comune cittadino, leggo sui giornali che una priorità urgente per il governo è bloccare le intercettazioni e riformare le norme processuali. Mi viene spontaneo pensare “Ma con la grave crisi che c’è, con i disoccupati in crescita, il precariato dilagante, la povertà di tante famiglie che non arrivano neanche a metà mese, tutto ciò a chi giova?” E’ evidente che il governo voglia tenere il popolino in un limbo dove vige l’ottimismo, perché non c’è crisi affermano e sostenere il contrario è puro terrorismo della sinistra. Questa è una vera e propria narcosi da televisione! E ci vuole il sottosegretario alla giustizia degli Stati Uniti per sapere che le intercettazioni sono strumenti essenziali alle indagini nella lotta alla criminalità organizzata e per elogiare l’ottimo lavoro dei magistrati italiani? Sembra paradossale ma non lo è poi così tanto. Non credo che gli americani siano interessati agli affari pubblico-privati della “cricca” del momento o del politico nostrano di turno ma piuttosto “al buco” d’impunità che si creerebbe in Italia per i terroristi e i narcotrafficanti. Il tentativo d’imbavagliare la stampa è disgustoso, fortuna che finalmente c’è stata una quasi plebiscitaria levata di scudi contro quel provvedimento e ciò ha fatto accendere un barlume di speranza. Ma con che faccia vengono ancora a chiedere sacrifici e a spremere come limoni le classi meno abbienti? Ora, ma da molti anni si sente questo ritornello, pare che le risorse si possano trovare nella ricerca degli evasori fiscali e dei falsi invalidi, però intanto si approva e si attua in fretta e furia lo scudo fiscale. Il proposito di smascherare i “furbi” è sacrosanto, però, i soldi recuperati dovrebbero essere usati per adeguare le pensioni e potenziare i servizi per i veri invalidi. I nostri governanti prima di chiedere sacrifici alla popolazione dovrebbero impegnarsi a gestire al meglio i beni demaniali e immobiliari dello Stato, dandoli in concessione a prezzi di mercato. E cosa dire dell’immenso parco di auto blu e degli stipendi stratosferici dei nostri politici? Se sacrifici ci devono essere che siano per tutti a cominciare dalla casta politica. E non faccia ridere il ministro Calderoli a proporre una riduzione del 5% degli stipendi dei parlamentari, attuino piuttosto un adeguamento agli standard europei, notevolmente più bassi. Se poi consideriamo che il presidente della Camera si lamenta perché la settimana parlamentare finisce il mercoledì, la cosa è proprio grave. Secondo me, lo è ancora di più perché, a parte l’assenteismo ordinario evidente dagli scranni vuoti, è stata instaurata una modalità di governo che delegittima il parlamento, mortifica il dibattito democratico e va avanti a colpi di decreti legge e così siamo arrivati alla 32^ fiducia. Ma l’Italia è ancora un paese civile e democratico o siamo di fronte all’avvio soft di una dittatura? Per restare in ambito pugilistico, speriamo di non cadere tramortiti al tappeto, ma di risollevarci! Su questo l’opposizione ha un ruolo importante, ma anche ogni cittadino deve prendersi una parte di responsabilità rifiutandosi di accettare questa disinformazione e la controcultura dilagante cercando di sviluppare senso critico e capacità di giudizio.

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martedì 20 aprile 2010

Polemiche deludenti

Questa lettera sulla recente vicenda occorsa ai tre volontary di Emergency è stata pubblicata il 26 aprile 2010 sul Messaggero Veneto.

Come medico e chirurgo resto sconcertato dalle recenti polemiche comparse sui media a proposito di quanto accaduto ultimamente ai 3 volontari di Emergency in Afganistan e, come cittadino, sono profondamente deluso per lo scarso impegno speso dal governo italiano per difendere i nostri connazionali. Si è detto che i tre volontari arrestati fossero fiancheggiatori di terroristi e frasi tipo “Speriamo che non sia vero” pronunciate da esponenti del governo hanno contribuito a dare credito a queste assurde accuse. Emergency è un’organizzazione umanitaria che rappresenta un fiore all’occhiello per il nostro paese e va difesa a spada tratta. Chi fa il volontario in un ospedale e, per di più, in territorio di guerra, ha fatto una scelta di vita che forse risulta incomprensibile a chi ha come valori di riferimento solo soldi e carriera. Meno male che c’è ancora gente che, incurante dei sacrifici e rischi personali ai quali può essere esposta, basa il proprio progetto di vita su pace, solidarietà e aiuto a tutti coloro che si trovano a vivere, non certo per loro scelta, in zone tormentate da una guerra che pare non finire mai. Gli effetti di questa follia, perché solo così può essere considerata la guerra, determinano un’infinità di lutti, di mutilazioni e di sofferenze fisiche e psichiche che colpiscono la popolazione civile e, in particolare, i bambini. Se essere schierati politicamente vuol dire trovarsi dalla parte della popolazione inerme, dei più deboli, malati, feriti, allora ben venga l’esserlo. Emergency, come qualsiasi organizzazione sanitaria degna di questo nome, soccorre tutti quelli che ne hanno bisogno senza chiedere se sono dalla parte dei buoni o dei cattivi. Emergency è un’organizzazione umanitaria, nei suoi ospedali cura i feriti delle guerre, sempre comunque ingiuste, evidenzia le cause delle violazioni dei diritti umani e le denuncia al mondo intero mettendo, così, tutti di fronte alle loro responsabilità. Inevitabilmente Emergency rappresenta cioè un testimone assai scomodo, l’unico visto che in quella regione non vi sono giornalisti accreditati, per tutti coloro che tali violazioni vorrebbero nascondere. Questo è un valore aggiunto di onestà intellettuale e non una connotazione negativa come vorrebbero far credere i vari potenti, o prepotenti, che vedono le loro posizioni messe in discussione. Per questi motivi le coloriture politiche che qualcuno attribuisce all’organizzazione non fanno altro che dimostrare la stupidità di chi le sostiene. Sicuramente non fa onore a nessuno sapere che il 40% dei feriti curati nell’ospedale di Lashkar-Gah, ora chiuso, fossero bambini, e che le bombe così dette “intelligenti”, quando colpiscono, non lo sono poi così tanto. Non me li vedo proprio tre volontari che fiancheggiano i terroristi, come pure nutro seri dubbi sul fatto che ad introdurre armi, cinture esplosive e altro materiale pericoloso ritrovato in ospedale siano stati loro. L’Italia è impegnata a sostenere l’Afganistan con aiuti economici, consulenze di vario tipo e con la presenza di un nutrito contingente militare che, tra l’altro, spesso subisce attacchi mortali. Non mancano di certo gli strumenti per bloccare un’infamia come quella che è toccata ai tre italiani di Emergency, senza dimenticare i sei operatori afgani di cui pare pochi si interessino. Frattini, ministro degli Esteri, dichiara in Parlamento di essere insoddisfatto delle risposte fornite da Kabul. Il nostro primo ministro solo dopo quattro giorni scrive una lettera a Karzai, presidente afgano. Desta perplessità che il governo italiano, così attento al rispetto della “legalità” in Italia, sembri interessato a non sollevare eccezioni verso un paese in cui le garanzie minime di giusto processo e di diritto alla difesa, e quindi i diritti umani, non vengono minimamente tutelate. Certamente in fase di trattativa c’è la necessità di mantenere una riservatezza lontana dai clamori della stampa però un fallimento sarebbe imperdonabile e diventerebbe incompatibile con un paese che si considera civile e che ambisce ad “esportare democrazia”.

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domenica 21 febbraio 2010

Sono solo buone azioni?

Questo articolo è stato inviato al Messaggero Veneto in risposta ad uno scritto comparso il 16 febbraio u.s.

Apro il Messaggero del 16 e nella pagina IV della cronaca di Udine, mi appare l’articolo dal titolo Gli “angeli” dell’Anffas accanto ai disabili… Chi sono gli “angeli” mi chiedo. I volontari, mi rispondo. Subito sono pervasa da un senso di grande sconforto e desolazione. Se fossi una di quei volontari giuro che mi offenderei. E’ possibile che nel 2010 ci sia ancora qualcuno che può considerare il fare volontariato solo come la buona azione compiuta da persone timorate e pie che vogliono così conquistarsi un posto in paradiso nei confronti di quei poveri sfigati (concedetemi il latinismo) dei disabili?
Quando io ero bambina e andavo a dottrina, diversi decenni fa si diceva così, ci insegnavano a compiere le buone azioni e se talvolta si sgarrava, potevamo porre rimedio a suon di penitenze e fioretti, per paura del castigo di Gesù che ci stava sempre a guardare. Ora siamo cresciuti noi, bimbi di allora, ma è “cresciuto” anche il valore, il senso personale e sociale del volontariato. Evidentemente però c’è ancora chi non se n’è accorto. Evidentemente chi ha scritto l’articolo non ha mai fatto esperienze di volontariato, per sua sfortuna, mi permetto di aggiungere. Altrimenti avrebbe capito che il volontariato è un modo di esserci, di trovare un senso e il valore della propria vita, di essere soggetti attivi e responsabili, di partecipare consapevolmente alla realizzazione della propria vita e al progresso della comunità in cui si vive, di crescere. Inoltre confrontarsi con persone diverse da noi per capacità motorie, intellettive, relazionali o per cultura, tradizione, religione, etc, arricchisce, permette di capire che nulla è scontato e nulla è assicurato per sempre per nessuno e ciò insegna a tutti, soprattutto ai giovani, ad avere rispetto di se stessi, delle qualità che hanno avuto in dono e a coltivarle con cura e amore, e degli altri, di tutti gli altri. Credo che se ci fossero più opportunità serie di volontariato, sostenute da un percorso di approfondimento e da un’adeguata formazione per i giovani già nelle scuole, molti di loro non andrebbero a cercare gli sballi del sabato sera o analoghe esperienze che spesso finiscono in tragedia e molti genitori dormirebbero sonni più tranquilli sicuri che i loro figli non vadano a cercare il senso della vita in esperienze estreme ed estremamente pericolose.
Mi si consenta un altro appunto a chi ha scritto questo articolo. L’ANFFAS è nata a Roma 52 anni fa e, allora, è stata denominata Associazione Nazionale Famiglie Fanciulli Subnormali (A.N.F.F.A.S.), ma in tutto questo tempo, grazie anche al confronto con le persone con disabilità, è cresciuta ed è diventata ora un’associazione talmente aggiornata e in linea con i concetti più attuali in ambito di disabilità, da renderli parte integrante delle proprie linee programmatiche per il prossimo triennio e da assumere come codice etico la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità tradotta in legge dello Stato Italiano nel marzo dello scorso anno (L.18). Conseguentemente anche la denominazione dell’associazione è stata più volte aggiornata. Quella riportata nell’articolo in questione è antecedente al maggio del 1997. Associazione di Famiglie di Persone con disabilità intellettiva e/o relazionale è l’ultima, in vigore dal 2005, più brevemente ANFFAS Onlus. L’acronimo, che strada facendo ha perso i punti, si è trasformato in sigla. Le associazioni crescono, cambiano, si adeguano alle nuove leggi e ai più attuali approcci al tema di cui si occupano, si aggiornano. Sarebbe auspicabile che i giornalisti facessero altrettanto.
Elisa Barazzutti
Presidente Anffas Alto Friuli - Consigliere Anffas Nazionale

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venerdì 19 febbraio 2010

Una rete di solidarietà per il sostegno ai disabili

Questa lettera è stata pubblicata sul Messaggero Veneto il 19 febbraio 2010.

Da anni io e mia moglie riflettiamo, ragioniamo e ci confrontiamo con le istituzioni per far fronte ai problemi di nostro figlio, per aiutarlo a crescere e ridurre al minimo l’impatto della disabilità nella sua qualità di vita. Come padre e medico, vorrei soffermarmi a fare qualche considerazione. Sono fermamente convinto che non si possa progredire senza un salto culturale che sposti il fulcro del problema dalla disabilità alla Persona. La Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilità (P.c.d.) dell’ONU è legge in Italia (L18/09). L’OMS ha introdotto l’ICF, scala di valutazione della disabilità quale risultante dall’interazione tra la persona e il suo contesto di vita. Nella realtà quotidiana, però, spesso si combatte contro muri d’indifferenza, di presunzione e d’ignoranza. La disabilità intellettiva e relazionale è più difficile da considerare perché non sempre evidente come quella fisica e a volte non è facile valutare il grado di comprensione di chi non risponde nei tempi e modi ritenuti normali, o che non sa rappresentare i propri bisogni. Spesso si ha l’impressione che ci siano disparità di trattamenti tra le varie P.c.d. Ad esempio il regolamento del Fondo Gravissimi (Messaggero 14/2) esclude dai beneficiari le persone con disabilità gravissima dalla nascita. Per me, chirurgo in pensione, era facile stabilire la gravità. Nel campo della disabilità è più complesso. A parità di diagnosi due persone sviluppano gradi diversi di disabilità in base ai sostegni di cui possono usufruire e, se non ben sostenuti, si possono sovrapporre disturbi psichiatrici che abbassano la qualità della vita della persona e della sua famiglia e aumentano problemi e costi socio sanitari. Ora che le neuroscienze hanno dimostrato la plasticità del cervello a tutte le età è eticamente aberrante non intervenire in maniera adeguata. Nel regolamento del Fondo per l’Autonomia Possibile si utilizza una scala di valutazione che misura solo le capacità fisiche, quindi inadatta per chi ha una disabilità diversa che viene escluso dai benefici. Si tratta di discriminazione? Ci sono i CSRE (centri diurni) che non rispondono alle esigenze di tutti. E gli altri? Quanti sono? E per chi avrebbe bisogno di interventi più leggeri e meno costosi, quali sono le offerte? Magari necessitano solo di maggiori opportunità di socializzazione e di promozione all’autonomia sociale, lavorativa mirata ad una vera inclusione nella comunità in cui vivono. Cosa si fa per loro? A porsi il problema se ne esce avviliti. Ci si sente inascoltati, è una lotta continua. Di rado si percepisce nelle istituzioni la curiosità e l’interesse di cercare soluzioni che escano dai canoni e meglio rispondano alle reali esigenze delle persone, che si devono adeguare ai servizi. E questo alla faccia dei progetti individualizzati e di tutte le leggi che superano l’ottica risarcitoria e promuovono l’esigibilità dei diritti di ogni persona e la non discriminazione. Non mi risulta che ci sia una mappatura dei bisogni delle P.c.d. E senza dati certi su cosa può basarsi un’adeguata progettazione? Risulta difficile anche chiedere e, per esperienza, posso affermare che dopo anni di reiterate risposte negative è frustrante domandare ancora. Risulta più efficace organizzarsi autonomamente per promuovere la crescita e tutelare i diritti dei propri figli. Noi, per ovviare alle carenze istituzionali e offrire alternative a nostro figlio abbiamo sperimentato molto, ma chi non ha le competenze e i mezzi deve rivolgersi alle istituzioni e accontentarsi di ciò che offrono. Molte associazioni che tutelano i diritti delle P.c.d, spesso agiscono in modo privo di quella coesione e di unità d’intenti che permetterebbe di raggiungere migliori risultati. Bisognerebbe affermare i diritti di tutte le P.c.d, ognuna con i suoi specifici bisogni e il suo progetto di vita. Mi auguro che gli attori coinvolti in queste problematiche, in primis i politici, s’impegnino a far sì che si realizzi una rete di sostegno e solidarietà per tutti che non può prescindere dalla risorsa del volontariato. Questo consentirebbe a chiunque abbia qualche svantaggio, di vivere una vita qualitativamente migliore e più autonoma.

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