domenica 21 febbraio 2010

Sono solo buone azioni?

Questo articolo è stato inviato al Messaggero Veneto in risposta ad uno scritto comparso il 16 febbraio u.s.

Apro il Messaggero del 16 e nella pagina IV della cronaca di Udine, mi appare l’articolo dal titolo Gli “angeli” dell’Anffas accanto ai disabili… Chi sono gli “angeli” mi chiedo. I volontari, mi rispondo. Subito sono pervasa da un senso di grande sconforto e desolazione. Se fossi una di quei volontari giuro che mi offenderei. E’ possibile che nel 2010 ci sia ancora qualcuno che può considerare il fare volontariato solo come la buona azione compiuta da persone timorate e pie che vogliono così conquistarsi un posto in paradiso nei confronti di quei poveri sfigati (concedetemi il latinismo) dei disabili?
Quando io ero bambina e andavo a dottrina, diversi decenni fa si diceva così, ci insegnavano a compiere le buone azioni e se talvolta si sgarrava, potevamo porre rimedio a suon di penitenze e fioretti, per paura del castigo di Gesù che ci stava sempre a guardare. Ora siamo cresciuti noi, bimbi di allora, ma è “cresciuto” anche il valore, il senso personale e sociale del volontariato. Evidentemente però c’è ancora chi non se n’è accorto. Evidentemente chi ha scritto l’articolo non ha mai fatto esperienze di volontariato, per sua sfortuna, mi permetto di aggiungere. Altrimenti avrebbe capito che il volontariato è un modo di esserci, di trovare un senso e il valore della propria vita, di essere soggetti attivi e responsabili, di partecipare consapevolmente alla realizzazione della propria vita e al progresso della comunità in cui si vive, di crescere. Inoltre confrontarsi con persone diverse da noi per capacità motorie, intellettive, relazionali o per cultura, tradizione, religione, etc, arricchisce, permette di capire che nulla è scontato e nulla è assicurato per sempre per nessuno e ciò insegna a tutti, soprattutto ai giovani, ad avere rispetto di se stessi, delle qualità che hanno avuto in dono e a coltivarle con cura e amore, e degli altri, di tutti gli altri. Credo che se ci fossero più opportunità serie di volontariato, sostenute da un percorso di approfondimento e da un’adeguata formazione per i giovani già nelle scuole, molti di loro non andrebbero a cercare gli sballi del sabato sera o analoghe esperienze che spesso finiscono in tragedia e molti genitori dormirebbero sonni più tranquilli sicuri che i loro figli non vadano a cercare il senso della vita in esperienze estreme ed estremamente pericolose.
Mi si consenta un altro appunto a chi ha scritto questo articolo. L’ANFFAS è nata a Roma 52 anni fa e, allora, è stata denominata Associazione Nazionale Famiglie Fanciulli Subnormali (A.N.F.F.A.S.), ma in tutto questo tempo, grazie anche al confronto con le persone con disabilità, è cresciuta ed è diventata ora un’associazione talmente aggiornata e in linea con i concetti più attuali in ambito di disabilità, da renderli parte integrante delle proprie linee programmatiche per il prossimo triennio e da assumere come codice etico la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità tradotta in legge dello Stato Italiano nel marzo dello scorso anno (L.18). Conseguentemente anche la denominazione dell’associazione è stata più volte aggiornata. Quella riportata nell’articolo in questione è antecedente al maggio del 1997. Associazione di Famiglie di Persone con disabilità intellettiva e/o relazionale è l’ultima, in vigore dal 2005, più brevemente ANFFAS Onlus. L’acronimo, che strada facendo ha perso i punti, si è trasformato in sigla. Le associazioni crescono, cambiano, si adeguano alle nuove leggi e ai più attuali approcci al tema di cui si occupano, si aggiornano. Sarebbe auspicabile che i giornalisti facessero altrettanto.
Elisa Barazzutti
Presidente Anffas Alto Friuli - Consigliere Anffas Nazionale

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