domenica 8 novembre 2009

Il business sulla disperazione

Questa lettera è stata pubblicata sul Messaggero Veneto di martedì 24 novembre 2009.

Se guardo indietro, penso a quanto mi insegnavano i miei genitori, maestri elementari, e lo paragono ai valori di riferimento della società di oggi, c’è di che confondersi. Sono sicuro che molta gente ha voglia di cambiare questo sistema incancrenito dal particolarismo di chi è al potere, che non si occupa della gestione del bene pubblico e che, pare agisca all’insegna di un virtuosismo che punta al ribasso (Paolo Guzzanti). Tutti, nell’arco della vita, si confrontano con la scuola e il lavoro. La scuola, come io la ricordo, era impegnativa, ci insegnavano a ragionare, riconoscevano i nostri meriti, ma se non studiavamo, ci bocciavano. Anche allora c’erano problemi culminati nella rivoluzione studentesca del ’68, ma c’era passione, voglia di fare e di cambiare le cose. Attualmente, con la riforma Gelmini, la scuola arranca tra tagli di finanziamenti e risorse umane, scontentando sia studenti che professori con svalutazione della qualità dell’insegnamento. Mi hanno educato a rispettare il lavoro, perché permette di esprimere le proprie capacità e di raggiungere l’indipendenza economica. Allora i contratti erano in prevalenza a tempo indeterminato con la sicurezza della pensione a fine carriera. Attualmente, i nuovi contratti sono a termine e con nessuna garanzia. Salari bassi, scarsa incentivazione del profitto, incertezza del posto di lavoro, fuga di cervelli, disoccupazione crescente poco mitigata da ammortizzatori sociali. E cosa dire di quel bollettino di guerra rappresentato dai morti sul lavoro e di cui si parla troppo poco? Eppure istruzione e lavoro sono diritti sanciti dalla Costituzione. Dopo anni di esaltazione del lavoro a termine, c’è chi “riscopre” il valore del posto fisso. Certo, assenteisti e lavativi vanno puniti, ma chi lavora bene va incentivato, coinvolto nella programmazione. Alla schiera dei precari, che non possono programmarsi un futuro, si è aggiunta quella dei nuovi disoccupati e cassaintegrati che certamente non saranno ottimisti come vorrebbe il nostro premier. Ma qual è la soluzione? Eccola, a portata di mano! Si tratta di Win for life, la speranza racchiusa in un gratta e vinci. E’ incredibile che si riesca a fare business anche sulla disperazione! E’ degli ultimi giorni la notizia che alcuni supermercati, tra le promozioni, propongono biglietti, cedibili, che concorrono all’estrazione di un posto di lavoro per un anno a mille euro al mese. Questa è la creatività degli italiani nei momenti di crisi?!
Un tempo il rispetto per le istituzioni, per le forze dell’ordine e per la giustizia facevano parte dei valori insegnati in famiglia, a scuola e in parrocchia. Attualmente pare che il rispetto della legge sia imposto solo al poveraccio. E’ più facile andare in galera per furto di pane per fame, che di molti miliardi per insaziabile bramosia di ricchezza. Allucinante e incredibile in uno Stato democratico la vicenda di Stefano Cucchi. Un nome che pesa come un macigno, perché è lo Stato ad averlo sulla coscienza. La Magistratura dovrà accertare le responsabilità di chi, mi auguro sia solo una scheggia impazzita del sistema, lo ha picchiato a morte e, invece di tutelarlo, ne ha calpestato i diritti ponendo fine alla sua vita. Attualmente emerge dai media che il sistema politico funziona con la ricerca sistematica degli scheletri negli armadi degli avversari da usare come arma di ricatto, con gli intrallazzi con poteri malavitosi organizzati, con le pressioni sui giudici, con la minaccia di modificare la Costituzione perché rallenta il decisionismo di chi è al potere e non, piuttosto, con il confronto e la dialettica democratica. Certo i processi hanno tempi biblici, ci vuole una riforma, ma questa va fatta nell’interesse del popolo e non dei singoli. Mi fermo qui perché il discorso sarebbe veramente lungo e potrebbe diventare noioso. Da parte mia sono grato a chi mi ha fornito quegli insegnamenti e ho sempre prediletto l’onestà intellettuale e l’etica professionale piuttosto che perseguire la carriera a tutti i costi. Certamente è ’un percorso più difficile che non l’adeguarsi al comune sistema del do ut des. Che bello però alzarsi la mattina, guardarsi allo specchio ed essere soddisfatti.

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